Desideriamo ricordare l’amico Alberto Cesare Ambesi (Torino 1931 – Saronno 2015) già docente di semiotica, pubblicista e saggista, attraverso un suo contributo sulla poesia tratto dalla prefazione alle raccolte poetiche di Giuseppe Billoni (Il Fumo Segreto, Hera,2007) Chi lo avrebbe mai detto? La poesia, l’autentica poesia, sta ritornando. Forse di soppiatto, ma ritorna. Ascolta le voci della notte e le parole del giorno. Descrive attenta i luoghi dell’anima e si sofferma sul mondo che ci circonda per verificare con quale interiore impegno si potrà sperare di riacquisire fondanti intuizioni esistenziali. Compito non da poco, giacché le ideologie dello scorso secolo hanno marchiato profondamente le poetiche, oltre ad avere ostacolato lo sviluppo di un’autonoma filosofia dell’arte che fosse in grado di ampliare le ramificazioni della scienza estetica. Per fortuna, sono sopraggiunti in soccorso, nel frattempo, gli sviluppi della psicologia del profondo, per cui, oggi come oggi, diventa pressoché indispensabile rifarsi a talune sue conquiste, per cercare di comprendere (e d’influenzare) le rinnovate ricerche poetiche, ma senza dimenticare che pure la speculazione filosofica ha qualcosa da suggerire in argomento, alla condizione che non si afflosci come “pensiero debole”. A quale fenomenologia intendo alludere? E’ semplice: alla dialettica che vede coinvolte tutte le dimensioni della coscienza, sempre in bilico fra opposte polarità, quando non si trovino “inflazionate” da particolari pulsioni provocate dall’infrarosso psichico già individuato e magistralmente descritto da Carl Gustav Jung (1875-1961), di contro a quella superiore “soglia dell’ultravioletto” che tanto infastidì i suoi colleghi psicanalisti. Ma non si fraintenda. La “malattia” che si è ora evocata e che può coinvolgere la totalità animico-spirituale del pensiero, non è da confondersi, in nessun caso, con altre tensioni intellettuali, pure se foriere di parallele scissioni emotive, in quanto si tratterrà, in codesti casi, di “squilibri” o tormenti per gran parte consapevoli. Come se l’Uomo – il poeta- si trovasse preso nella morsa fra due contrapposte nostalgie. La prima, appartenente ad un passato più o meno recente ( il trapassato remoto appartiene al Mito, soltanto al Mito.), l’altra, ad un futuro anteriore di ardua definizione. Orizzonti temporali entro cui sorgono, culminano e tramontano luci e ombre di varia natura: gli affascinanti fuochi fatui dell’espressione sentimentale, le notti stellate degli antichi Dèi, già cantate da Hölderlin (1770-1840), le aurorali speranze cristiane di Novalis (1772-1801) e gli esercizi theosofico-“ultrafanici” di W. B. Yeats (1865-1939). Nomi che non ho fatto a caso, poiché nell’operatività poetica di Giuseppe Billoni tutti gli elementi evocativi e speculativi che ho elencato sono di volta in volta o delineati o riplasmati mediante articolazioni linguistiche che ora sembrano attingere a lontane fonti asianico-ellenistiche, ora a sollecitazioni di uno stampo che sarei tentato di definire sciamanico (alludo a talune accentuazioni immaginative) se non vi fossero i suoi paralleli studi nell’ambito figurativo a ricordarmi che egli persegue la conquista di una visione e di un’espressività in grado di abbracciare dissomiglianti riferimenti culturali: l’arcaico e il costruttivo, in primo luogo.[…] Tra le sue ultime pubblicazioni: Nella Luce di Mani (Ed.Cenacolo Umanistico Adytum, 2007), Il Labirinto (Ed L’età dell’Acquario, 2008)