Per far fronte ai terribili mali del presente (violenza, guerre, terrorismo, fame e povertà per un miliardo e mezzo di esseri umani) è fondamentale superare l’ideologia coloniale, cioè la convinzione che la cultura occidentale sia superiore in tutto e per tutto alle altre culture che abitano il pianeta. Occorre aprirsi a un mutamento di paradigma basato su un autentico dialogo con popoli, civiltà, religioni e tradizioni diverse, che la globalizzazione oggi fa entrare in contatto come mai nel passato. Sul piano filosofico, il vecchio modello monoculturale di ragione e di sviluppo è in crisi, e il pluralismo, chiave di volta di una nuova filosofia declinata in senso interculturale, rifiuta ogni arroganza eurocentrica e la credenza che una sola cultura possa dar conto con i suoi parametri e categorie dell’infinita complessità del reale. Senza il dialogo, senza il superamento dell’individualismo, senza l’ascolto «imparativo», come lo ha chiamato Raimon Panikkar, degli «altri», dei loro valori e delle loro idee, spesso incompatibili coi nostri attuali miti (Mercato, Sviluppo, Tecnologia), non solo non costruiremo mai pace e giustizia, ma rischiamo la distruzione violenta dell’homo sapiens. Non si tratta di rinunciare ai nostri valori, né alla necessaria fermezza nel difenderli contro attacchi brutali e disumani: si tratta invece di non ricercare più un’illusoria universalità transculturale (fondata nella nostra ragione) e di mettersi in gioco in quella che Michael Oakeshott ha definito la «conversazione del genere umano».