Si tratta di un carteggio prezioso, testimonianza di una profonda amicizia che ha legato per lungo tempo Raimon Panikkar e Achille Rossi: dal loro primo incontro avvenuto nel 1978 fino alla morte del filosofo nel 2010.
Leggere questo carteggio inviato dal filosofo indo-catalano all’amico e al teologo così come allo studioso e al sacerdote Achille Rossi – poiché molteplici appaiono gli aspetti di questo profondo e fecondo rapporto costruito negli anni-, è un po’ come ripercorrere l’esperienza dell’ultimo trentennio della sua Vita, con le pene, le gioie, gli affanni, ma anche l’ironia, le aspettative, le delusioni, le difficoltà con l’ordine clericale cattolico, la quotidianità. I dialoghi, gli incontri, gli amici comuni, le visite di Raimon conferenziere in Italia e quelle di Achille a Tavertet: momenti di conversazione, di studio, di meditazione, di collaborazione intellettuale. Ma anche di riposo, di quiete contemplativa, di reciproca confidenza e di conforto nella malattia che ha afflitto entrambi.
Ne emerge chiara una figura appassionata e dinamica sempre in movimento tra tre mondi (India e Europa e Stati Uniti), una personalità vivace e sempre in fermento , quella di Panikkar, nonostante gli anni e gli acciacchi, che ha animato il Centro di Studi interculturali Vivarium a Tavertet, fino a poco prima della morte e che non ha mai cessato il continuo lavoro sui testi pubblicati e ripubblicati, riscritti e rimeditati, frutto di una continua riflessione mai scissa dalla vita. Ed altrettanto chiaro ne appare il messaggio: vivere la vita in pienezza nei suoi triplici aspetti umano cosmico e divino, interattivi e presenti in ogni momento di ogni esistenza. Acquisirne la consapevolezza del qui ed ora ,nella relazione viva con tutto ciò che ci circonda: in questo consiste l’esperienza mistica – e a tal proposito parla di mistica della mente, dell’azione e dell’amore- senza la quale secondo Panikkar non può esserci futuro per l’umanità, poiché l’uomo ha bisogno di ritrovare se stesso, le proprie radici, la pace profonda, il senso esistenziale davanti al Mistero della vita che tutto sovrasta ed avvolge, superando i confini logico-concettuali, in un protendersi della fede quale aspirazione profonda all’infinito. Non secondo un intimismo,come fa notare Vacchelli nel bel prologo, ma secondo la profondità del vissuto esistenziale.
Dall’indefesso lavoro intellettuale e spirituale, e dalla riflessione tra i due teologi elaborata nel tempo, si concretizzarono anche per Rossi a Città di Castello una serie di incontri, organizzati dalla sua Rivista l’altrapagina -con studiosi e insigni rappresentanti del mondo accademico , politico ed economico , tra i quali lo stesso Panikkar – i quali divennero una consuetudine, sviluppando un confronto sulle tematiche più urgenti della contemporaneità: dal disarmo culturale alla pace, dalla secolarizzazione all’ecosofia e alla decrescita, dal dialogo interreligioso all’alterità e al pluralismo, dal rapporto tra scienza e spiritualità al dolore ed alla povertà del mondo, dalla democrazia e tecnocrazia alla fede . Essi raccontano il continuo reciproco scambio fecondo , il comune impegno sociale ed intellettuale che ha caratterizzato la vita di entrambi. E soprattutto la fede aperta volta a sostenere l’incrollabile speranza nell’essere umano, nella relazione dialogica, vero fil rouge di questo intenso rapporto di amicizia e di amore e del comune cammino spirituale, di cui le lettere sono testimonianza.
E’ un libro che fa riflettere sull’amicizia, la cura, la solidarietà umana, la fiducia, la fedeltà, la condivisione, la gratitudine, quei valori gratuiti riferiti all’alterità, che esulano dalla concettualità logica e dalla nota regola imperante del do ut des. Una riflessione sulla quale vale la pena soffermarsi perché ormai inusuale, anche alla luce di un altro breve scritto di Panikkar dedicato alla confidenza, nel quale il nostro esordiva parlandone in termini di “fonte di pace” e nel quale si può trovare una chiave alla lettura del carteggio. Nella confidenza con l’altro suo simile, l’uomo, enigma a se stesso, diviene consapevole di sé per effetto speculare. E questo si verifica quando si incontra un amico. Ma questo “se stesso”, come afferma Panikkar nella sua analisi fenomenologica, non è quello elaborato dalla semplice riflessione razionale; c’è di più, poiché il campo di coscienza include il sentirsi, e quindi il sentimento. Dimostrazione ne è il fatto che quando ci si sente compresi, quando si può calare la maschera, esporsi, uscendo all’aperto, ci si sente autenticamente se stessi. E di conseguenza ci si conosce alla luce dell’altro.
Ed è in questa dimensione del sentire, in questa “patenza” per usare un termine panikkariano, che appaiono quegli aspetti umani, di cui si diceva, che esulano dall’usuale logica del quotidiano e che questo libro ci offre nell’implicita descrizione di un rapporto amicale autentico e vero basato sullo sguardo che non vede, ossia non giudica, ma che sostiene il riflesso dell’altro.